Vittorio de Fonseca 2023

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“La mostra segue in un ambiente povero, che rimanda, con la sua finestra colle sbarre alle vicine carceri di Regina Coeli. Un allestimento povero anch’esso, a sottolineare, se ce ne fosse bisogno, l’estrema povertà dei materiali che concorrono a formare le opere. Di contro, il maestro, il Prof. Paolo Camiz, non è un povero: non è povero di sostanze, ma soprattutto non è povero di spirito. Nato collezionista d’oggetti trovati qua e là fin da bambino, ha continuato collezionando carriere: rinomato fisico nucleare (è stato Libero Docente e Professore Associato al Dipartimento di Fisica della Sapienza, frequentando quel “corridoio dei teorici” che tanto lustro ha dato alla scienza italiana), si è impegnato in seguito nella fisica della percezione, in entrambi i casi pubblicando rilevanti contributi su riviste internazionali. Parallelamente, originando da una famiglia “musicale”, ha coltivato la passione per la musica, prima come eccellente pianista ed in seguito come basso e direttore di cori (La Frottola, il Coro dei Fisici… ) ottenendo in entrambi i casi il favore del pubblico e della critica. Ed ancora fotografo, fin dall’infanzia, impegnato anche nello sviluppo e stampa delle immagini raccolte nelle sue peregrinazioni romane, le gite fuori porta, le vacanze. Infine (diciamo last but not least) si è dedicato, ormai da lunghi anni, alla scultura. Quale musa lo avrà maggiormente ispirato? Difficile dirlo, certo che dovunque Camiz ha messo le mani, ha tratto tesori: anche dall’esilio in Abruzzo nel 1943-44 quando, appena cinquenne, ha dovuto salvarsi là dalla campagna razziale e da cui ha tratto un bel libro di ricordi collettivi.  

Qui si presenta con le sue sculture. Allestimento povero, s’è detto, a sottolineare l’understatement della povertà dei materiali, per farne maggiormente emergere il contenuto iconografico “rivelato” dall’assemblaggio. Si, non è una scultura qualunque, questa, fatta di colpi di scalpello, d’intagli di cera e di colate di bronzo: è piuttosto l’espressione della ricostruzione d’un’essenza a partire dai suoi costituenti. Perché Camiz non è uno scultore classico: è un raccoglitore-assemblatore.  Chi lo conosce, sa che da sempre rovista nei luoghi più impensati, alla ricerca di materiali perduti. Possono esser zone agricole abbandonate, con i resti d’attrezzi arrugginiti; bordi di ferrovie, con chiodi e giunti abbandonati al proprio destino; discariche di laboratori, con scarti di lavorazioni più o meno complesse; discariche… ovunque la nostra inconsapevolezza ci fa abbandonare quel che “non ci serve più”, incoscienti sia della loro possibile utilità nel tempo, sia d’un uso alternativo che se ne possa fare, diverso dall’abbandono o, peggio, dalla distruzione. Come il fotografo londinese d’Antonioni, rapito dall’elica trovata da un antiquario, Camiz s’appropria di tondini di ferro, bulloni da ferrovia, scarti di fusione, pezzi d’attrezzi agricoli dalla forma improbabile, cose di cui Virgilio direbbe “non ci curiam di lor, ma guarda e passa”. Camiz non passa: si cura di questi oggetti, li raccoglie e li trasferisce nel suo antro, una cantina sotto la sua abitazione, letteralmente invasa dai suoi materiali, tanto da esser nel frattempo abbandonata dagli altri legittimi proprietari, che amorosamente gli hanno lasciato lo spazio disponibile.

Novello Efesto, il suo antro rivà quello del dio, con i suoi attrezzi utili ad assemblare, saldare, rimodellare il metallo, che con magico intuito maieuticamente induce a trovare la sua realizzazione in forma d’opera d’arte.  Vediamo Camiz nelle foto di Stefano Giorgi amorevolmente intento a riconoscere, in quell’enorme puzzle dei materiali raccolti, quelli che “devono” star vicini, uniti, saldati, giunti in un atto d’amore sempiterno, a dare forma alla loro unione nella forma ch’egli non ha assegnato loro, ma ha indotto in essi a rivelarsi in un unicum. Perché quel chiodo e quel tassello sono saldati insieme in quel modo? Ma perché altrimenti non sarebbero quell’oggetto! Una molla unisce, ma crea anche tensione. Un tondino di ferro, sapientemente ritorto, diventa un’allusione, un insieme di bulloni e ganci diventa una maschera, con tanto d’espressione, e pezzi misteriosi si trasformano in totem. Il Maestro li ha scoperti nel mucchio, li ha pensati, li ha capiti ed ha potuto così stabilire quali vanno insieme ed in che modo, così facendo inducendoli a nuova identità, l’opera che ci presenta, per lasciarci attoniti a riflettere”.

Vittorio de Fonseca (Sergio Camiz) -Mostra “Ipazia a Trastevere” – Galleria Il Laboratorio Roma – 2023